L’idea non sembra delle più originali, eppure, osservando la crescita del fenomeno, appare come una delle nuove modalità di ricerca in campo farmacologico. Lo chiamano in gergo il «drug repositioning» ed è l’utilizzo di farmaci già in commercio per curare malattie diverse da quelle per cui sono stati progettati. Le ragioni di questa strategia sono strettamente legate al loro processo produttivo. «Secondo una recente analisi – spiega Marco Foiani, direttore scientifico dell’Istituto Ifom-Firc di Oncologia Molecolare di Milano – per produrre un nuovo medicinale sono necessari, in media, investimenti da 800 milioni di dollari. Non solo, da un punto di vista temporale passano all’incirca 15-20 anni prima che la molecola in questione sia effettivamente disponibile sul mercato». Numeri impressionanti che lasciano poco spazio alle interpretazioni. Leggi tutto su La Stampa
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Vecchi farmaci, nuove cure: il caso dell’aspirina
Febbre, dolori articolari, mal di denti: non sono forse questi i sintomi che inducono, soprattutto ora nel picco di influenza, ad assumere una compressa di aspirina? Ma siamo sicuri che il famoso anti-infiammatorio serva solo ed esclusivamente per combattere le affezioni dolorose? Secondo una ricerca pubblicata sulle pagine della prestigiosa rivista Cancer Cell, i farmaci anti-infiammatori non steroidei, più comunemente chiamati FANS, sembrerebbero in grado di contrastare la diffusione delle cellule tumorali. Ad affermarlo è il professor Steven Stacker del Peter MacCallum Cancer Centre di Melbourne. Leggi tutto