Lotta al cancro: tutte le novità da #ASCO19

Non c’è miglior luogo che il congresso ASCO di Chicago per comprendere dove si dirige la lotta al cancro. Qui sotto, in aggiornamento costante, i miei articoli:

Tumore del polmone: oggi è sempre più curabile. Una rivoluzione chiamata immunoterapia (articolo per Fondazione Umberto Veronesi)

Tumore al seno metastatico: con la terapia target la sopravvivenza a tre anni passa dal 46 al 70%. Un risultato storico (articolo per Fondazione Umberto Veronesi)

“Preparare” il tumore per batterlo con l’immunoterapia (articolo per Fondazione Umberto Veronesi)

Cancro, cure e prevenzione: l’importanza del Sistema Sanitario Nazionale (articolo per Fondazione Umberto Veronesi)

Mamme dopo un tumore al seno: gravidanza sicura sia per la donna sia per il neonato. Anche nei casi BRCA mutati (articolo per Fondazione Umberto Veronesi)

I casi di polmone e seno: dai mix terapici la filosofia emergente della cronicizzazione (articolo per La Stampa)

Melanoma e tumore al polmone: l’immunoterapia rivoluziona le cure

Anno 2008. Giuseppe ha 50 anni e tanto ancora da vivere. Il verdetto dell’oncologo però non lascia spazio alle interpretazioni: melanoma metastatico al quarto stadio, il peggiore tra i tumori della pelle. Con le terapie di quel tempo l’aspettativa di vita medita è di 6-9 mesi. Solo il 25% sopravvive ad un anno. La ricerca però da qualche tempo comincia a produrre nuove molecole, gli immunoterapici. Giuseppe entra in una sperimentazione e oggi, a dieci anni dalla diagnosi, è ancora qui. La malattia c’è ma è sotto controllo. «Situazioni come quella descritta –spiega Michele Maio, direttore del CIO (Centro di Immuno-Oncologia) presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese-  sono sempre più diffuse. Grazie all’immunoterapia oggi il cancro sta cominciano ad essere considerato una malattia cronica». I risultati presentati al congresso ASCO di quest’anno puntano tutti in questa direzione. Dopo il melanoma adesso è l’ora del tumore al polmone.

Stimolare il sistema immunitario

La svolta nel trattamento dei tumori da 10 anni a questa parte si chiama immunoterapia. L’idea è rivoluzionaria: se sino agli anni duemila l’obbiettivo era quello di sviluppare molecole dirette contro le cellule tumorali, ora nel mirino finiscono le cellule del sistema immunitario. L’idea di fondo alla base di questo approccio è sfruttare la capacità delle cellule che ci difendono di riconoscere la presenza del cancro. Per farlo i ricercatori hanno due modi: rimuovere il freno che spegne la risposta o spingere sull’acceleratore e stimolare i linfociti ad attaccare la malattia. «Se nei primi anni duemila tutto ciò era promessa –continua Maio- oggi la maggior parte dei nuovi farmaci in commercio hanno come target il sistema immunitario e l’immunoterapia rappresenta sempre più spesso la prima scelta per affrontare un tumore in metastasi».

Da mesi ad anni di vita guadagnati

I dati sulla sopravvivenza ad un melanoma a dieci anni di distanza parlano chiaro: con ipilimumab, il primo immunoterapico della storia, siamo a quota 20%, come il caso di Giuseppe. Un risultato straordinario se confrontato con l’aspettativa di vita media di 9 mesi con la sola chemioterapia. In questi dieci anni però la ricerca è andata avanti individuando nuovi meccanismi da sfruttare. Da qui sono nati, tra i tanti, nivolumab e pembrolizumab. Proprio su quest’ultimo ad ASCO sono stati presentati i primi dati di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi: il 41% è vivo e nell’86% dei casi, dopo la sospensione del trattamento il sistema immunitario continua a tenere sotto controllo la malattia. «Questi risultati –spiega l’esperto- ci dicono che siamo sulla buona strada e che l’immunoterapia rappresenta l’approccio principale per affrontare il melanoma».

Tumore al polmone: copiare dal melanoma

Ma se l’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento di questo tumore, sempre più consistenti sono i risultati sulla bontà dell’approccio nella cura del cancro al polmone. Già da tempo anche nel nostro Paese pembrolizumab può essere utilizzato come prima scelta in alcune categorie di pazienti con carcinoma polmonare che esprimo elevati livelli della proteina PD-L1. Dagli studi presentati ad ASCO però emerge il dato che la molecola funziona anche per quelli con bassa espressione di PD-L1. Ma le novità non finisco qui perché per alcune tipologie di tumori  del polmone, il trattamento immunoterapico in combinazione con la chemioterapia determina un effetto sinergico attraverso il potenziamento della risposta immunitaria. I risultati sono ancora lontani da essere paragonabili a quelli raggiunti con il melanoma ma la strada appare simile.

Non solo immunoterapia

Accanto all’immunoterapia però guai a scordarsi delle terapie target. Al congresso ASCO sono stati presentati anche i dati relativi all’utilizzo di una molecola a target molecolare (alectinib) in grado di affrontare le metastasi cererbrali dei tumori al polmone ALK positivi, quello più diffuso tra i non fumatori. I risultati parziali dimostrano che la sopravvivenza libera da progressione con alectinib risulta triplicata rispetto a quanto accade con la terapia standard (34,8 mesi contro 10,9 mesi). Un risultato impensabile sino a poco fa.

Combinare più terapie

«Grazie alla ricerca oggi abbiamo a disposizione molte armi per controllare i tumori. Ora l’obbiettivo è riuscire a somministrare di volta in volta le giuste combinazioni tra immuniterapici, chemio e terapie target. Se eliminare del tutto il tumore non sempre è possibile, con ciò che abbiamo possiamo arrivare a rendere cronica la malattia. Il melanoma e il polmone ce lo stanno insegnando» conclude Maio.

(articolo pubblicato su Tuttosalute de La Stampa, 19 giugno 2018)

Lotta al cancro: 5 cose da ricordare dopo ASCO 2018

Anche quest’anno ho avuto la fortuna di partecipare al congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology), il più importante appuntamento a livello mondiale dedicato alla lotta ai tumori. Un’occasione unica per avere il polso della situazione sulle nuove cure per il cancro. Con oltre 40 mila partecipanti e 6 mila studi presentati è impossibile riassumere tutto in poche righe. Qui di seguito ecco 5 messaggi da ricordare dall’edizione 2018:

Cancro come malattia cronica

La premessa è d’obbligo. Non nascondiamoci, di cancro si muore ancora. La situazione però è cambiata radicalmente nel corso degli anni. Ci sono tumori che sino al decennio scorso, se diagnosticati tardi, lasciavano poche speranze. Un esempio è il melanoma: dai 9 mesi di aspettativa di vita media, oggi con l’immunoterapia 1 persona su 5 a dieci anni di distanza è qui a raccontare la propria storia. E i risultati sono destinati a migliorare. Così anche per il polmone. Sempre attraverso lo stesso approccio qualcosa comincia a muoversi. Volendo semplificare al massimo possiamo affermare che ogni anno con le nuove terapie si guadagnano mesi su mesi di vita. E così alcune forme di cancro da letali stanno diventando croniche.

Sfruttare le armi che si hanno a disposizione

Per arrivare a considerare il cancro una malattia cronica è fondamentale saper utilizzare le armi giuste al momento giusto. Chirurgia, radioterapia, chemioterapia, terapie a bersaglio molecolare e immunoterapia. Sempre di più l’oncologo sarà chiamato a scegliere con quale sequenza portare avanti queste cure a seconda del paziente che si ha davanti. Un esempio? Non sempre l’immunoterapia è la prima soluzione. Anzi… alle volte occorre prima iniziare una terapia target e poi passare all’immunoterapia e viceversa. Non solo, la chemioterapia non va in soffitta. Per alcuni tumori -come il polmone- l’effetto combinato di chemio e immunoterapia sta dando risultati importanti. Oppure nel melanoma sta accadendo che farmaci di vecchia generazione come l’interleuchina-2, se somministrati insieme all’immunoterapia, aumentano il numero di persone che rispondono positivamente alle terapie. Il messaggio dunque è chiaro: non esiste una regola comune.

Test genetici per orientare le terapie

Nella scelta di quali cure somministrare (o non) il ruolo dei test genetici sta diventando sempre più importante. Uno dei principali studi presentati al congresso è arrivato alla conclusione che per alcune forme precoci di tumore al seno la chemioterapia può essere evitata. L’indicazione su quando non farla la si ottiene grazie ad un test (OncotypeDX) che analizza l’espressione di 21 geni del tumore implicati nel rischio di recidiva. Ma lo studio presentato non è il solo.

La biopsia liquida non è la soluzione alla diagnosi precoce

Fino a prova contraria un semplice prelievo del sangue, ad oggi, non consente di fare diagnosi di tumore. Per ora rimane un sogno. Al contrario la biopsia liquida ci può dare chiare indicazioni su come si sta evolvendo la malattia e se le terapie stanno funzionando.

Car-T sì ma non per tutti i tumori

Recentemente la lotta ai tumori si è arricchita di una nuova arma. Una sorta di evoluzione dell’immunoterapia classica. Sono le Car-T, un insieme di tecniche che prevedono il prelievo delle cellule del sistema immunitario del paziente, la loro modifica in laboratorio e la successiva re-infusione affinché vadano ad attaccare il tumore. Il sistema, altamente sofisticato e costoso, al momento si è rivelato efficace in alcuni pazienti con tumori del sangue che non rispondono alle terapie classiche. Il messaggio è chiaro: le Car-T funzionano ma… sono destinate ad una nicchia ben ristretta.

Immunoterapia sempre più costosa anche quando funziona poco

Negli ultimi dieci anni, grazie all’avvento dell’immunoterapia, tumori che in passato non lasciavano scampo oggi possono essere affrontati con successo. Intendiamoci: di tumore si muore ancora ma grazie a queste molecole il cancro sta diventando una malattia cronica. Il problema però è il prezzo: i nuovi farmaci costano, e tanto. Non solo, il costo nel tempo è andato ad aumentare indipendentemente dal beneficio clinico. Ad affermarlo è uno studio da poco pubblicato dalla rivista Journal of Oncology Practice.

I costi non seguono una logica precisa

A lanciare l’allarme sull’andamento dei prezzi non sempre in linea con il reale valore del farmaco era stata, già nel 2016, un’analisi comparsa su JAMA Oncology. Lo studio analizzava l’andamento dei prezzi delle 51 molecole anticancro approvate dalla FDA –l’ente statunitense che regola l’immissione dei farmaci nel mercato- tra il 2009 e il 2013. Seppur riferita solo agli Stati Uniti, l’analisi affermava che il prezzo di queste molecole non correla né all’entità degli investimenti di ricerca -nessuna differenza tra innovativi e di successiva generazione- né all’efficacia terapeutica, né ai volumi di impiego. Ora l’ultimo studio pubblicato non fa altro che ribadire il concetto.

Efficacia e costi non vanno di pari passo

«La situazione –spiega il dottor Giordano Beretta, responsabile dell’Oncologia medica dell’ospedale Humanitas Gavazzeni e presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM)- non è di certo una novità. Possiamo affermarlo chiaramente: oggi il costo di diversi antitumorali non è il linea con la loro efficacia. Ciò non significa che usiamo molecole che non funzionano, tutt’altro. I nuovi farmaci hanno portato a grandi risultati ma il loro costo è sproporzionato rispetto al beneficio clinico aggiuntivo di ciò che già c’era in commercio».

Non sempre sappiamo chi risponderà ai farmaci

Per rendere l’idea l’assistenza complessiva (farmaci e non solo) a un malato di cancro costa intorno ai 40 mila euro l’anno che, con gli immunoterapici, raggiunge e supera i 100 mila euro. Di ricette per contenere i costi ce ne sono diverse ma uno dei punti su cui agire è l’appropriatezza nella prescrizione dei farmaci. «Oggi –spiega Beretta- abbiamo a disposizione degli immunoterapici che hanno cambiato la storia di molti tumori. Il punto è che queste molecole non funzionano in tutti i malati. Allo stato attuale delle conoscenze però non abbiamo a disposizione dei criteri specifici – i cosiddetti fattori predittivi- per individuare i pazienti ideali che risponderanno ad una determinata terapia».

Investire in test predittivi

Ma è proprio questo il punto cruciale. Selezionare solo chi risponderà –ad oggi si calcola che l’immunoterapia funzioni nel 30-40% dei pazienti- è di fondamentale importanza non solo per il malato ma anche per tutto il sistema. In questo modo è possibile curare meglio, risparmiando.  «Per riuscire ad arrivare a prescrivere in maniera mirata è fondamentale investire maggiormente in ricerca. Tutti gli sforzi si stanno dirigendo in questa direzione, ovvero mettere a punto strumenti in grado di identificare se un malato risponderà o meno ad una determinata terapia. In quest’ottica però molto devono fare le aziende farmaceutiche. Ecco perché una delle possibili soluzioni future è che in fase di registrazione del farmaco venga chiesto a chi produce la molecola di indicare nel tempo le caratteristiche del paziente che risponderà al trattamento. Un vincolo in grado di stimolare ad investire ancor di più sulla ricerca dei marcatori predittivi di risposta» conclude Beretta.

(articolo tratto da La Stampa, 17 maggio 2018)

Metodo Simoncini, Butac e una censura al contrario

Nelle scorse settimane uno dei siti che più si batte nel cercare di smontare le bufale (www.butac.it) è stato posto sotto sequestro per alcuni giorni. Tutto è partito da una querela relativa ad un articolo pubblicato nel 2015 in cui veniva criticato l’operato di un oncologo. Al di là del caso specifico –in passato le querele avevano portato all’obbligo di rimozione di contenuti ma non al sequestro dell’intero sito- quanto deciso dalla procura di Bologna è manna dal cielo per chi di bufale vive sfruttando la disperazione delle persone.

Guardate cosa scrive il sito degli “amici del dottor Simoncini”:

Era ora! Finalmente la Procura della Repubblica di Bologna lo ha messo sotto sequestro! Butac, il sito che si definiva anti bufala, che sparava addosso a tutto e a tutti, soprattutto ai medici alternativi, questa volta ha sparato alla persona sbagliata, visto che ha preso di mira l’oncologo brindisino Claudio Pagliara, che non ci ha pensato su due volte a (sì, è scritto così, ndr) ha querelato i titolari. Ora è finalmente chiuso!

E ancora…

Speriamo che questa esperienza serva da lezione anche ai gestori di altri siti che vivono “diffamando” medici alternativi, rei di aver capito del fallimento della medicina ufficiale e di cercare alternative per salvare la vita dei propri pazienti.

Già, proprio quelle cure alternative per salvare la vita dei propri pazienti. Peccato perché con quelle “cure” in realtà la si perde, la vita. Il dottor Simoncini dovrebbe saperlo bene: radiato già da diversi tempo, ad inizio di quest’anno è stato condannato a 5 anni e 6 mesi di carcere per aver sottoposto (in Albania) un ragazzo di Catania affetto da un tumore cerebrale alla sua pseudo-cura a base di bicarbonato di sodio. Iniezioni che hanno portato al decesso del giovane.

Eppure i fans del dottor Simoncini continuano a pontificare sul web e senza censura la bontà del metodo. Per il dottore e i suoi fedelissimi l’utilizzo del bicarbonato di sodio quale agente in grado di eliminare le cellule tumorali nasce dall’idea totalmente infondata che il cancro non è che il fungo Candida albicans. Ecco perché secondo Simoncini basterebbe del semplice bicarbonato per fare scomparire la massa.

La mia idea –scrive- è che essi (i tumori, ndr) non dipendano da misteriose cause genetiche, immunologiche, auto immunologiche, come propone la medicina ufficiale, fatti mai dimostrati, ma che piuttosto derivino da una semplice aggressione fungina, non visualizzata, né studiata nella sua dimensione intima connettivale. Durante i molti anni in cui ho studiato i tumori, cioè le atipiche colonie fungine, ho potuto constatare che l’unico mezzo per distruggerle ed impedire che si rinnovino, consiste nel somministrare forti concentrazioni di sali, in particolare modo Bicarbonato di Sodio, da far assumere in maniera peculiare rispetto alla sede del cancro.

Eppure, nonostante l’infondatezza di queste dichiarazioni, i siti che propongono questi “rimedi” continuano ad essere visibili. Segnalarli è il minimo che possiamo fare consci però del fatto che non è solo attraverso la rimozione dei contenuti che si affrontano questi problemi. Sono due le vie che abbiamo per contrastare il fenomeno dei venditori di fumo della salute.

Da un lato occorre seriamente investire in un’informazione giornalistica di qualità nel campo della salute. Informazione fatta con rigore e competenza e non finalizzata alle sole logiche commerciali relative al traffico da generare. Ancora oggi infatti capita che le grandi testate diano spazio a contenuti alquanto discutibili ma di sicura lettura. Dall’altro –ed è questo il vero punto- c’è la sfida educativa. Bisognerebbe sin da piccoli –e qui la scuola ha un ruolo centrale- stimolare i ragazzi al senso critico. Investire sempre di più in cultura della scienza. Un processo lento ma probabilmente il più potente.

p.s di cancro si muore ancora. Nessuno ha la bacchetta magica. A differenza però di chi vende false speranze basate sul nulla, oggi la scienza ci dice che sempre più persone –grazie alla ricerca e alla creazione di farmaci sempre più precisi- guariscono o convivono con la malattia. Di persone che a distanza di anni dalla diagnosi di tumore sono qui a raccontare la loro storia ce ne sono moltissime. Le possiamo incontrare tutti i giorni per la strada. E di quelle con il bicarbonato?