Nella storia della medicina una delle modalità vincenti per eradicare una malattia infettiva è la prevenzione del contagio attraverso l’utilizzo di un vaccino. L’epatite C invece rappresenta un’eccezione: grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta il virus può essere eliminato nella maggior parte dei casi. Un successo mai registrato prima nella storia della malattia che ha indotto l’Organizzazione Mondiale della Sanità -come è stato più volte ribadito all’International Liver Congress da poco conclusosi ad Amsterdam- a dichiarare l’obiettivo eradicazione entro il 2030. Un traguardo ambizioso ma possibile vista la straordinaria potenza delle nuove molecole sbarcate sul mercato.
Epatite C: non è solo questione di fegato
«L’epatite C -spiega la professoressa Gloria Taliani, Ordinario di malattie infettive presso l’Università La Sapienza di Roma- è una malattia del fegato causata dal virus HCV. La sua presenza è in grado di scatenare una reazione immunitaria che, a lungo termine, danneggia in maniera irreversibile l’organo portando a cirrosi e carcinoma epatico». Nel nostro Paese si stima che il 60% dei mille e più trapianti di fegato che si effettuano ogni anno siano causati dal virus C. Attenzione però a pensare che la malattia sia esclusiva del fegato. «L’epatite C -continua l’esperta- è una malattia sistemica a tutti gli effetti e chi ne soffre con il tempo va incontro a diabete, insufficienza renale e malattie cardiovascolari». Ecco perché eliminare il virus è di fondamentale importanza per lo stato di salute di chi è affetto dalla patologia.
Oggi con gli antivirali diretti il virus si elimina nel 97% dei casi
Sino a pochi anni fa la cura principe per l’epatite C era rappresentata dalla somministrazione di interferone e ribavirina, molecole che avevano successo in meno della metà dei casi e che si associavano a pesanti effetti collaterali che spesso costringevano medico e malato a sospendere la terapia. Oggi invece la situazione è radicalmente cambiata: «grazie allo sviluppo di antivirali ad azione diretta capaci di agire sui molteplici meccanismi che il virus mette in atto per replicarsi, è possibile curare definitivamente la malattia nella quasi totalità dei casi. Percentuali di successo, ottenibili in sole 12 settimane e in alcuni casi anche in 8, che si aggirano mediamente intorno al 97%. Uno scenario impensabile sino a meno di dieci anni fa» spiega il professor Antonio Craxì, ordinario in gastroenterologia all’Università degli Studi di Palermo. Guarigioni che nei casi più gravi significa poter evitare di ricorrere al trapianto di fegato.
Efficacia degli antivirali dimostrata anche al di fuori degli studi clinici
Dopo un periodo relativamente breve di sperimentazione di queste nuove molecole oggi nel nostro Paese sono già diverse le formulazioni utili a trattare i malati al di fuori dei trials clinici. Tra le ultime approvate da AIFA c’è la combinazione elbasvir/grazoprevir (sviluppata da MSD). L’attesa sulla bontà di queste due molecole era grande poiché gli ottimi risultati ottenuti nelle sperimentazioni non per forza sono garanzia di successo nella popolazione non selezionata. «Oggi -continua Craxì- i dati in real life relativi a questa combinazione ci dicono che gli antivirali funzionano e hanno percentuali di efficacia pari e in alcuni casi addirittura superiori rispetto agli studi registrativi». Un risultato importante, presentato al congresso olandese, in linea con altri dati real life di altre molecole.
Ora bisogna agire contro il genotipo 3
Attenzione però a cantare vittoria. Che fare nei rari casi in cui la persona fallisce la cura per lo sviluppo di una resistenza? Come trattare “varianti” del virus difficili da eliminare come ad esempio il genotipo 3? «In questi casi è fondamentale che la ricerca continui al fine di individuare nuovi possibili bersagli per mettere fuori gioco il virus» conclude Craxì. A tal proposito al congresso sono stati presentati alcuni importanti dati relativi alle molecole glecaprevir/pibrentasvir (sviluppate da AbbVie). La combinazione, attiva su tutti i genotipi virali di epatite C, si è dimostrata efficace in sole 8 settimane nel 95% dei casi degli individui affetti da genotipo 3. Cure dunque sempre più mirate e brevi. Un ulteriore passo avanti nella strada che porterà all’eradicazione dell’epatite C.
(Articolo pubblicato su La Stampa, 3 maggio 2017)