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Kobane, Isis, riconquista e Wired…

kobaneOggi sono capitati due fatti che mi hanno fatto riflettere sullo stato attuale del giornalismo. Il primo riguarda il modo di lavorare, il secondo relativo al futuro della professione. Traete voi le conclusioni.

Questa mattina molto presto i principali quotidiani online italiani hanno aperto con la notizia relativa al crollo di Kobane per mano dell’Isis. Il titolo che andava per la maggiore era il seguente: “L’Isis riconquista Kobane”. Twitto la notizia e pochi secondi dopo un utente, che so essere lì in missione, mi dice che sto scrivendo delle fesserie. Ma come? L’hanno detto BBC, Reuters e l’Osservatorio per i diritti dei Siriani…

Fare informazione online ricorda molto i polli in batteria. Contenuti di qualità e approfondimento ce ne sono ma la cronaca viene spesso coperta dalle agenzie. Chi sta al “desk” non fa altro che prendere le notizie dalle agenzie stampa, le copia-incolla (a volte le si rimaneggia) e via, si manda online sperando di arrivare prima degli altri. E’ quello che è accaduto anche oggi con la notizia su Kobane. “Peccato” però che la città siriana in terra turca non è stata riconquistata dall’Isis. Il grosso equivoco in cui sono caduti tutti per diverso tempo è frutto di un’errata traduzione. Le agenzie internazionali riportano il “re-entering” dell’Isis. Re-enetering non significa riconquista. L’attacco c’è stato ma la città, in quel momento, non era affatto caduta nelle mani del Califfo. C’è chi, a ore dal “fattaccio”, continua ad affermare che Kobane è in mano all’Isis. Errori che possono capitare nel giornalismo copia-incolla.

Sempre questa mattina la testata Wired, una delle migliori –online e carta- a mio avviso in campo tecnologico, ha pubblicato un comunicato sindacale in cui si legge:

“Il digitale ci salverà, ma la carta non muore” aveva dichiarato lo scorso 13 aprile al Corriere della Sera il deputy managing director di Condé Nast Italia, Fedele Usai. Appena due mesi dopo, le azioni dell’azienda non sembrano affatto confermare questa linea. Dai vertici aziendali sono stati comunicati pesanti tagli nella struttura di Wired, testata presentata a più riprese come laboratorio del nuovo modello di giornalismo digitale.

In seguito alle dimissioni del direttore Massimo Russo e alla successiva nomina di Federico Ferrazza, l’azienda ha comunicato in conferenza stampa il 12 giugno 2015 che:

  1. Wired punterà su digitale ed eventi per crescere.
  2. La nomina alla direzione di Federico Ferrazza, è stato “un premio al lavoro di squadra“.
  3. “Per l’Italia Wired è un brand fondamentale, uno dei tre pilastri del futuro di Condé Nast“.

Ai rappresentanti sindacali e alla redazione è stato comunicato dal Chief operating officer di Condé Nast Italia, Domenico Nocco che:

  1. La periodicità del cartaceo passerà da dieci numeri l’anno a due, da affidare completamente a service esterni.
  2. Sei dei 12 giornalisti della redazione (il 50%) sono considerati esuberi.
  3. Al momento la redazione confermata sul progetto Wired Italia è, quindi, formata da sei giornalisti (di cui uno part-time).

 

La redazione di Wired Italia e i giornalisti di Condé Nast esprimono forte preoccupazione per il futuro della testata e del brand stesso e si riserva di intraprendere tutte le azioni necessarie per salvaguardare il posto dei sei colleghi in mobilità e le condizioni di lavoro che garantiscano la qualità che ha sempre contraddistinto Wired.

Non entro in merito delle decisioni prese. Non conosco la reale situazione finanziaria del gruppo e nemmeno i dati delle vendite del cartaceo. Ciò che però non posso fare a meno di sottolineare è che la notizia è l’ennesimo colpo basso alla professione. C’è crisi, gli investimenti pubblicitari mancano… Però ci sono anche tante redazioni piene zeppe di giornalisti assunti nei tempi delle “vacche grasse” con stipendi faraonici che “guai ad abbassarsi a fare l’online”. Intanto fuori dalle redazioni pullulano i collaboratori esterni che, pagati una miseria, riempiono di contenuti il giornale. Quei collaboratori che si fa così tanta fatica a stabilizzare perché –non succede fortunatamente ovunque- a volte si preferisce chi è in pensione e vuole rimanere come consulente. Sì, c’è crisi. Soprattutto nelle teste.

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In Francia censurano il video “Dear future mom” con i ragazzi Down

Ve lo ricordate “Dear future mom“, il video realizzato in occasione della giornata mondiale dedicata alla sindrome di Down? Ben 5 milioni di persone l’hanno visto. Difficile rimanere impassibili.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=Ju-q4OnBtNU]

Qualcuno in Francia deve essere rimasto però turbato dalla sua visione sulle principali reti nazionali. Il turbamento deve essere stato talmente forte tanto da indurre il Conseil supérieur de l’audiovisuel (CSA), l’ente che vigila sui contenuti di radio e televisioni, a censurare l’iniziativa. Il motivo ha dell’imbarazzante. Per il CSA il video è da censurare (per il documento originale clicca qui) in quanto potrebbe creare confusione. Un video dunque dal messaggio ambiguo. Un video non rispettoso della libertà. Un video che potrebbe indurre, nella sua confusione, qualche mamma a porre fine alla gravidanza. Riassumendo: in realtà il video non va bene perché prende una posizione. Un messaggio ben preciso che può influenzare la libertà dell’individuo. Lascio a voi ogni commento… Fortunatamente la decisione è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato. Sette ragazzi con sindrome di Down, senza nessuna rappresentanza di avvocati, hanno da poco presentato richiesta di annullamento su quanto stabilito dal CSA.

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Prato dimentica le proprie origini

Schermata 2014-09-09 a 23.51.01Una scena del genere non era riuscito ad immaginarla nemmeno Guareschi nel suo Don Camillo. A Prato invece tutto è possibile. Proprio tutto. Un esempio? Celebrare il compleanno della Beata Vergine Maria il 9 settembre anziché l’otto. Un’impresa che non era riuscita mai a nessuno. Colpa del prolungarsi del corteggio storico, dicono. E così, dopo decenni, accade che l’ostensione del sacro cingolo della Madonna -appuntamento simbolo della città di Prato- viene relegata ad evento di serie B, alle ore 00:30 del giorno successivo, in una piazza del Duomo quasi deserta e con il vescovo costretto ad accelerare il suo discorso.

Una situazione assai spiacevole che non è frutto solamente di manifesta incapacità organizzativa. Sono cose che capitano, verrebbe da dire. Invece no. Quel che è accaduto non è altro che lo specchio della società in cui viviamo. Una società che si vergogna delle proprie origini, che vuole cancellarle perché potrebbero offendere qualcuno. Meglio allungare il corteggio storico con esibizioni e canti che di pratese hanno ben poco. Quelle sì che sono tradizioni. Per la predica del vescovo e l’esibizione di un pezzo di stoffa della dubbia provenienza c’è tempo…

Credenti o meno, chiunque abbia passato qualche anno a Prato sa benissimo quanto la città sia legata all’ostensione del sacro cingolo. Quanto è successo non è da archiviare con un banale “ci siamo organizzati male”. Fossimo stati in un film Don Camillo, per non fare sgarbo alla Madonna, sarebbe salito sul campanile e avrebbe tirato indietro le lancette dell’orologio. Poi avrebbe lanciato qualche panca della chiesa contro i responsabili del ritardo. Peppone avrebbe capito e il giorno successivo sarebbe andato ad accendere un cero alla Madonna. E a Prato?

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Meeting di Rimini: cosa siamo qui a fare?

20130818-093210.jpg Da oggi e per una settimana vi inonderò di tweet dal Meeting di Rimini. Tranquilli, non ho cambiato lavoro… Come l’anno scorso farò parte del social media team dedicato all’evento. Qualcuno potrà pensare: “eccolo, vai che twitta solo di politica…”. Sbagliato! Sul blog ho avuto modo già diverse volte di spiegare il perché della mia presenza a Rimini. Se volete leggere basta cliccare qui e, per chi non è stanco, qui! Il meeting è un luogo dove poter vedere come le persone, plasmate dall’incontro con Cristo, danno vita ad a opere straordinarie. Il nostro compito sarà quello di testimoniare tutto ciò attraverso i social network. In un periodo di crisi come questo vedere migliaia di volontari venire a lavorare gratis è più che un miracolo. Buon Meeting!

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Sul blitz animalista alla Statale regna l’indifferenza. Ma a pagare sono i ricercatori e i malati

foto1Sabato scorso un gruppo di “manifestanti” ha avuto la brillante idea di barricarsi all’interno del Dipartimento di Farmacologia dell’Università degli Studi di Milano. Protesta nei confronti del governo per la scarsità di fondi alla ricerca? No, nulla di tutto questo. Dopo lunghe ore di trattative lo sparuto gruppo ha abbandonato l’edificio portando con sé centinaia di topi e conigli destinati alla sperimentazione. Il tutto nella’impunità generale.

Sui motivi che hanno spinto gli animalisti a questo estremo gesto si potrebbe discutere per ore. Discutere dell’ignoranza generale quando si parla di vivisezione, di sperimentazione animale, di protocolli che limitano al massimo la sofferenza, dell’equiparazione tra persone e topi, della necessità della sperimentazione animale in assenza di altri modelli…

Ma questi sarebbero discorsi inutili perché con lo sconsiderato gesto dei paladini dei diritti animali sono andati in fumo anni di ricerca. Sperimentazioni promettenti contro malattie quali l’Alzheimer, la tanto temuta SLA, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson e molte altre ancora.

Con questo blitz gli animalisti non hanno colpito nessun sistema. Hanno colpito tanti ragazzi che hanno un nome e un cognome. Ragazzi che lavorano sino a 12 ore al giorno per un compenso ridicolo rispetto a quanto viene percepito dai coetanei esteri. Ricercatori in procinto di pubblicare i risultati dei loro studi sulle più prestigiose riviste scientifiche ma che non vedranno mai la luce. Studenti che con fatica lavorano al bar la sera per potersi pagare l’affitto e continuare gli studi. In altre parole… ragazzi in carne ed ossa come voi animalisti.

Dentro quei laboratori, dove tutto avviene tranne che la tortura, oggi ci sono ragazzi disperati che piangono per aver perso tutto il loro lavoro. Ma dentro quei laboratori è stata cancellata anche la speranza di chi vive in attesa di una cura e di chi con fatica sostiene i costi della ricerca scientifica, oggi più che mai accantonata dai discorsi della vera politica.

A vincere sono stati loro, gli animalisti. Contenti e con il volto orgoglioso si fanno ritrarre con gli “ormai loro” scatoloni pieni di topi. Il tutto nell’indifferenza generale delle istituzioni. Intanto Oltremanica, sulle pagine di Nature, ci si interroga su come possa essere accaduto un episodio del genere. Non solo, Oltreoceano invece in queste ore Obama premia alla Casa Bianca studenti americani che hanno vinto competizioni nazionali di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica.

Viva l’Italia.

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Metodo Vannoni: chi sono i buoni? Chi i cattivi?

IMG_2722[1]Nei giorni scorsi ho avuto modo di assistere al dibattito organizzato da Corriere della Sera sull’ormai noto metodo Vannoni della Fondazione Stamina. Arrivato in anticipo mi sono messo in fila come tutti per poter accedere alla sala. Accanto a me non solo curiosi ma tanti malati su sedia a rotelle. In particolare sono stato colpito dalla presenza di un bambino di non più di 3 anni, seduto su una carrozzina in miniatura, accompagnato dai giovani genitori. Di fronte a situazioni così è difficile non commuoversi e rimanere impassibili.

Una volta entrati e iniziato il dibattito ho avuto la netta impressione, già dopo pochi minuti, che non sarebbe servito a nulla. Da un lato i “buoni”, il dottor Andolina e lo psicologo Vannoni, dall’altro i “cattivi”, ovvero la comunità scientifica. I buoni che propongono una cura a base di staminali e i cattivi che fanno di tutto per stoppare il nobile tentativo. Un film già visto molto simile al caso Di Bella.

I buoni affermano che la loro metodica per preparare le staminali è sicura e brevettata. L’infusione delle staminali ha portato miglioramenti in quei bambini che altrimenti non avrebbero cure per la loro malattia. Andolina ha addirittura affermato che anche in un malato di SLA, grazie al loro metodo, si sono visti segni di miglioramento. I buoni affermano anche che tutto è stato fatto secondo la legge, che loro non fanno altro che applicare le cure compassionevoli.

Per fare un po’ di chiarezza occorre partire da quest’ultimo punto. Le cure compassionevoli sono cure sperimentali che si possono utilizzare per quelle malattie che al momento non possiedono una terapia standard e certificata. Ciò avviene a patto che i dati disponibili sulle sperimentazioni siano sufficienti per formulare un favorevole giudizio sull’efficacia e la tollerabilità della cura.

Questo non è il caso del metodo Vannoni di Stamina. Il metodo dei buoni non è mai stato oggetto di protocolli di sperimentazione. Non esiste nessun dato che possa fare minimamente pensare che la metodica funzioni. Non esistono pubblicazioni scientifiche che ne dimostrino l’efficacia. Non solo: chi assicura ai genitori che il metodo sia sicuro? Non è come bere un bicchier d’acqua che, male che vada, non sortisce nessun effetto. E se fosse addirittura pericoloso? Per contro Andoina e Vannoni sostengono che a nessuno interessa la loro “cura” perché si vuole affossare questo tipo di ricerca.

IMG_2705[1]Curare queste malattie devastanti attraverso una straordinaria nuova terapia potrebbe valere il premio Nobel a chiunque. Perché non dimostrarlo? Perché Andolina e Vannoni sono così restii a pubblicare questi dati su una rivista scientifica come fanno tutti i loro colleghi? Validando scientificamente il metodo Vannoni permetterebbero a tutti i malati del futuro di usufruire della loro miracolosa cura. Perché tutto ciò non viene fatto? Non pariamoci dietro il complotto delle case farmaceutiche, qui non esiste nessuna cura che potrebbe competere con il metodo Stamina. Anzi, sarebbe proprio nell’interesse delle big-pharma accaparrarsi una cura del genere.

Di Vannoni e Stamina si potrebbe dire ancora molto (rinvio a giudizio, brevetti che non esistono ecc…) ma non è mio intento porre l’attenzione sui punti oscuri. L’attenzione vorrei che fosse posta sui malati. Il mondo scientifico cerca silenziosamente di dare loro una speranza basata sulla conoscenza. Il mondo dei buoni cerca di farlo senza uno straccio di prova documentata. Ma se nel primo caso siamo di fronte a speranza, nel secondo siamo di fronte all’illusione. Intanto sono più di 11 mila le richieste di cura pervenute a Stamina.

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Meeting di Rimini: ecco perché ci lavoro

“Meeting di Rimini? No grazie, non mi interesso di politica. Poi comunque sono tutti ladri”. Quanto volte abbiamo sentito pronunciare questa frase? 

Confesso che anche io, diversi anni fa, avrei detto la stessa cosa. In fondo su televisioni e carta stampata è spesso la presenza del politico di turno a farla da padrone. Esistono poi online dei reportage, che di giornalistico hanno molto poco, dove l’evento meeting viene dipinto come un girone dell’inferno dantesco.  Una rappresentazione lontana anni luce dalla realtà.

Ecco perché quest’anno è stato deciso di creare il “social media team”. Attraverso l’utilizzo dei social network cercheremo di raccontare cosa realmente è il meeting di Rimini in ogni suo aspetto.  Quello che scrissi due anni fa (leggi), visto con i miei occhi, proveremo a testimoniarlo durante tutta la settimana. Seguici sui canali Twitter e Facebook!

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Lezioni di giornalismo

Perchè giornali e televisioni si fissano con una notizia e danno l’idea che in Italia stiano accadendo solo un certo tipo di eventi? Penso ai pitbull, all’acqua avvelenata nelle bottiglie, alle complicazioni durante il parto e così via.
Ce lo spiega oggi Mario Calabresi nella sua quotidiana rubrica “Lettere al direttore” pubblicata su La Stampa.

[…] L’effetto pitbull si ha quando una serie di fatti – che possono andare dagli incidenti del sabato sera ai sassi tirati sulle auto o sui treni, agli atti di bullismo a scuola, fino appunto ai cani che mordono i bambini – per coincidenza si ripetono in uno spazio di tempo ravvicinato creando un effetto di allarme e di iper-attenzione. A quel punto i giornalisti morbosamente vanno alla caccia di ogni episodio possa confermare il trend e trova nei cittadini e nei politici degli alleati naturali pronti a denunciare qualunque episodio, anche il più piccolo, anche il più vecchio. A questo si aggiunge un effetto emulazione che gonfia i fenomeni. Dopo qualche settimana prevale uno stato di nausea e stanchezza: il filone perde d’interesse e viene abbandonato. Ma non è che ogni giorno non ci siano cani che mordono o ragazzi che infastidiscono i compagni di classe.
In questo meccanismo perverso è importante, come abbiamo cercato di fare, dare le giuste dimensioni al fenomeno e contestualizzarlo per evitare di creare panico ingiustificato e gratuito. […]