Il cinema ce li ha sempre mostrati come dei salotti con una comoda poltrona su cui distenderci. Nella realtà dei fatti sono delle normalissime stanze con delle sedie per poter colloquiare tranquillamente. In futuro probabilmente saranno dei locali sempre più vuoti. Stiamo parlando degli studi medici dove si affrontano le malattie della psiche. A cambiarne l’organizzazione non sarà un architetto bensì la realtà virtuale, una tecnologia a disposizione di psicologi e psichiatri destinata a rivoluzionare il trattamento dell’ansia, delle fobie, delle demenze e della depressione. Grazie ad essa il paziente potrà rivivere in maniera artificiale ciò che lo turba in modo da imparare a controllare le reazioni con l’aiuto dello specialista.
«Complice l’evoluzione della tecnologia –spiega Andrea Fagiolini, Professore Ordinario di Psichiatria e direttore del Dipartimento Aziendale Integrato di Salute mentale all’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese – oggi è possibile a livello virtuale ricreare qualsiasi contesto e viverlo in maniera artificiale indossando un semplice visore. I vantaggi sono essenzialmente due: da un lato è possibile vivere o rivivere situazioni sulle quali lavorare con il paziente, dall’altro lo si può fare controllando l’intensità degli stimoli».
L’applicazione più evidente è nel campo delle malattie che possono beneficiare di un’esposizione regolata a stimoli specifici come, ad esempio, le fobie. L’idea che sta alla base della cura di questi disturbi è il fenomeno della desensibilizzazione attraverso l’esposizione controllata alle situazioni che generano paura. «Tecnicamente -spiega l’esperto- attraverso un visore indossabile si procede alla creazione di uno scenario e si espone gradualmente il paziente alle situazioni che sono fonti di disagio. Regolandone l’intensità, discutendo con lo specialista e ripetendo lo stimolo -mediamente le sedute variano da 10 a 15- l’obiettivo è quello di diventare sempre meno suscettibili arrivando così a controllare la situazione». Un esempio è l’aracnofobia -la paura dei ragni-, la fobia sociale o il disagio che si prova ad entrare all’interno di un aereo. Il tutto in completa sicurezza poiché virtuale.
Ma il campo delle fobie e del controllo delle reazioni non è il solo in cui la realtà virtuale può essere utile. L’ingresso nella realtà virtuale può infatti essere benefico anche attraverso l’esposizione a stimoli piacevoli o familiari. Una delle discipline in cui sta avvenendo la sperimentazione di questo approccio è la riabilitazione delle persone affette da demenza. La realtà virtuale infatti può essere di notevole aiuto per cercare di rallentare il fenomeno del decadimento cognitivo. «In queste persone -continua Fagiolini- gli stimoli sensoriali sono molto importanti. Un anziano che non viene stimolato subisce un decadimento molto più veloce. Attraverso la realtà virtuale questo processo potrebbe essere rallentato. Tra l’altro, la realtà virtuale potrebbe aiutare a migliorare la qualità di vita di queste persone, grazie all’esposizione a stimoli piacevoli-passeggiate al mare o in montagna, tanto per fare un esempio- o comunque evocatori di ricordi piacevoli».
Ad oggi -pur essendo una tecnologia relativamente nuova- gli studi che hanno valutato la bontà di questo approccio cominciano ad essere consistenti. Il settore dove si registrano maggiori successi è proprio quello del trattamento delle fobie. Una ricerca pubblicata nell’anno appena trascorso dalla rivista Harvard Review of Psichiatry -che aveva come obiettivo fare il punto della situazione su tutti gli studi effettuati sino ad oggi- ha mostrato che la realtà virtuale è da considerarsi a tutti gli effetti uno strumento utile ed efficace rispetto agli approcci classici.
Ma le novità non finiscono qui. Secondo il professor Fagiolini la realtà virtuale potrà essere potenzialmente sfruttata anche in caso di depressione. Come spiega l’esperto «con il tempo le conseguenze della depressione -ad esempio il non uscire di casa e la perdita dello stimolo a fare qualsiasi cosa- spesso contribuiscono al mantenimento della depressione: all’inizio sono un effetto della depressione ma con il tempo possono diventare una delle cause, uno dei motori che mantengono la malattia e rendono più difficile uscirne. Di fondamentale importanza è interrompere questo circolo, ad esempio attraverso l’esposizione della persona depressa ad una serie di esperienze piacevoli e stimolanti che la riportino, senza troppa fatica, a riassaporare la bellezza di ciò che c’è nella realtà. Certamente, coloro che possono vivere stimoli reali non devono essere spinti a rifugiarsi nel virtuale ma in molti casi, l’uso di questi strumenti permette di costruire un ponte che favorisce il ritorno ad una vita reale piena e soddisfacente. Nessuno si sogna di dire che una passeggiata al mare effettuata attraverso gli apparecchi virtuali sia migliore di una passeggiata reale ma i nostri pazienti, in alcuni periodi della loro vita, non hanno il lusso di poter scegliere l’opzione più ‘naturale’, e dunque sia benvenuta quella virtuale ».
Ad oggi il numero delle persone trattate -rispetto a quelle potenziali- è ancora molto basso. A fare la parte del leone sono gli Stati Uniti, nazione dove si registrano più sperimentazioni in atto. Qualcosa si muove però anche in Italia dove -all’Auxologico di Milano- la tecnologia viene utilizzata correntemente. «Considerati i risultati raggiunti finora la sensazione -conclude Fagiolini- è che questo approccio nei prossimi anni esploderà diffondendosi un po’ ovunque. La realtà virtuale non sostituirà lo psichiatra, lo psicologo e i loro strumenti di cura ma aiuterà medico e paziente a raggiungere migliori risultati».
(articolo pubblicato su La Stampa, 17 gennaio 2018)