Epatite C: voglio subito il farmaco

iStock_000014040085XSmallVoglio tutto e subito -almeno nel nostro attuale Sistema Sanitario Nazionale– è una pretesa che non sempre può e deve essere esaudita. Negli ultimi mesi su molti quotidiani italiani abbiamo letto le storie di diverse persone affette da epatite C in cui si racconta di “viaggi della speranza” in India dove poter acquistare il tanto agognato farmaco. Il tutto condito dalla denuncia sul fatto che il nostro stato non fa nulla per curare le persone. Non solo, è di pochi giorni fa la notizia che una di queste persone abbia chiesto ufficialmente al Ministero il rimborso di oltre 40 mila euro per danni materiali e morali.

Purtroppo queste vicende spesso vengono raccontate tralasciando completamente l’approfondimento da un punto di vista medico in favore della sola “denuncia” sociale. Un modo di rappresentare la realtà che non può fare altro che allontanare ancora di più le persone dalle istituzioni. Per comprendere questo concetto occorre però riassumere brevemente di cosa stiamo parlando.

Da alcuni anni a questa parte la ricerca scientifica ha finalmente prodotto dei farmaci in grado di eradicare definitivamente il virus dell’epatite C. Una vera e propria pietra miliare in quanto per decenni le cure funzionavano –spesso con pesanti effetti collaterali- in meno della metà dei casi. Oggi, grazie alle terapie antivirali, il virus può essere eliminato per sempre in poche settimane. Il fatto di poter cancellare l’infezione è fondamentale perché con il passare del tempo l’epatite C porta ad una sempre più ridotta funzionalità epatica le cui conseguenze sono la cirrosi e i tumori al fegato. Non è un caso che questa infezione sia la principale causa di trapianto di fegato nel mondo.

Il primo farmaco a sbarcare sul mercato è stato quello della casa farmaceutica Gilead. A seguire, nel giro di poco tempo, è stato il turno di molte altre pharma. Il vero neo di tutta questa vicenda risiede nel prezzo elevato di queste molecole. Prezzo purtroppo frutto di una sciagurata mossa di Gilead che, sparando alto, ha di fatto condizionato il mercato.

Di fronte a certi prezzi i diversi stati hanno dovuto prendere delle scelte. Per quanto riguarda l’Italia AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, ha stabilito di curare prima i pazienti più gravi scelti sulla base di 7 criteri. Una decisione che ha fatto storcere il naso a diversi addetti ai lavori e a molti pazienti che non hanno potuto accedere immediatamente alle cure. Ma è proprio quest’ultimo punto il vero centro della questione: quando le risorse sono limitate occorre fare delle scelte. Il virus dell’epatite C progredisce lentamente e il buon senso vuole che i primi ad essere curati debbano essere le persone con un quadro clinico grave. In molti casi di malattia all’esordio non cambia molto intervenire subito o aspettare qualche tempo.

Ad oggi questa scelta –che personalmente considero lungimirante- sta premiando. Al 13 febbraio sono 67.638 le persone curate gratuitamente. Ora siamo in procinto di uscire da questa prima fase di urgenza e AIFA dovrà necessariamente rivedere le regole. La possibilità di ritardare l’inizio della terapia potrebbe essere una strategia terapeutica che ha l’obiettivo di garantire un accesso graduale alle cure trattando i pazienti prima che sviluppino un quadro clinico grave. La speranza è che nel futuro il paziente venga valutato sia in base al rischio clinico specifico per l’epatite C ma anche a fronte di tutta una serie di fattori concomitanti quali comorbidità, obesità, ipertensione, diabete, ma anche al suo profilo psicologico e sociale che ci permette di capire se il paziente è in grado di attendere l’inizio della terapia. Ovviamente si spera anche nel ribasso dei prezzi. Più farmaci saranno disponibili e più in virtù della concorrenza i prezzi scenderanno.

La realtà è molto più complicata di quanto si pensi. Voglio tutto e subito, sia in una famiglia sia in uno Stato da 60 milioni di abitanti, non può funzionare. Da questa vicenda però possiamo trarre un ulteriore insegnamento. Noi abbiamo bisogno dei farmaci così come Big Pharma ha bisogno di poterli vendere. La mala gestione del prezzo iniziale dovrebbe indurre tutti ad una seria riflessione su come vengono stabiliti i prezzi.  Non è solo questione di epatite. Nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013 l’FDA ha approvato l’immissione sul mercato di 51 nuove molecole antitumorali utili per 63 diverse indicazioni di malattia. L’elevato costo di questi farmaci –come dimostrato in uno studio pubblicato da Jama Oncology- non tiene però realmente conto della loro innovatività, efficacia e volume d’utilizzo. Ecco perché se da un lato è utile ricordare ai pazienti che occorre dover aspettare (parlo del caso specifico di epatite C, chi è grave viene già curato), dall’altro chi decide i prezzi dovrebbe farlo con molto più criterio.

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