#Neiloropanni. Ecco a cosa servono le foto (e i giornalisti)

«Questo non è un libro sulla fotografia ma sul giornalismo, sull’essenza del giornalismo: andare a vedere, capire e testimoniare»

E’ con queste poche parole che il direttore del quotidiano La Stampa Mario Calabresi introduce un suo libro -“Ad occhi aperti”- in cui intervista dieci tra i più famosi fotografi al mondo. Professionisti che con le loro immagini hanno fatto la storia. Confesso che prima di iniziare a fare questo lavoro ho sempre pensato che i fotografi non fossero assimilabili alla categoria giornalisti. Leggendo questo libro mi sono dovuto ricredere. Anzi, penso proprio che la forma più pura di giornalismo sia proprio nelle foto. Perché dico questo?

Oggi il quotidiano torinese ha deciso pubblicare un foto-reportage di Bulent Kilic, fotografo turco della AFP. Immagini che raccontano tutto il dramma umano della popolazione siriana che scappa dalla furia dell’IS tentando di entrare alla frontiera turca. Quella Turchia che vuole entrare in Europa e dista non molti chilometri da noi.

In un periodo della storia dove veniamo costantemente “bombardati” come non mai dalle informazioni diffuse da TV, Radio e Web rischiamo l’effetto che i farmacologi chiamano “receptor desensitization”, desensitizzazione recettoriale. Dopo un po’ che prendiamo un farmaco sparisce l’effetto perché subentra l’assuefazione. Per avere un effetto ne occorre sempre di più. Nulla sembra turbarci, i racconti dei pochi giornalisti che testimoniano le vicende di chi scappa da fame, guerra e povertà ci sembrano lontani.

«Prima gli italiani, abbiamo già i nostri problemi. Che stiano a casa loro» ripete a pappagallo qualche politico ed un esercito di seguaci “attivisti da divano” dalla condivisione facile sui social. Per fortuna esistono le immagini e i fotografi. Perché per capire l’essenza di ciò che sta avvenendo ai “migranti” basta osservare. Cosa spinge una marea umana ad accalcarsi ad una frontiera? Cosa li spinge a scavalcare un filo spinato? Cosa deve provare un padre o una madre con in braccio il proprio figlio di pochi mesi cercare di incunearsi nello squarcio di una rete per abbandonare il proprio Paese?

Lasciamo da parte i campanilismi e pensiamo all’uomo in quanto persona. Oggi troppo spesso gli individui sono spogliati della propria identità. Dietro ad un volto c’è sempre una storia. Una vita fatta di speranze, aspirazioni, sogni da realizzare e drammi. Di fronte ad immagini come quelle pubblicate  non è possibile rimanere indifferenti. Le foto hanno la capacità di farci catapultare per un momento nel dramma che queste persone stanno vivendo. E’ con queste immagini impresse nella mente che ogni giorno dovremmo iniziare la giornata. La classe politica per cercare di trovare soluzioni reali e concrete all’emergenza, l’uomo della strada per evitare di esasperare la già difficile situazione. Perché è solo mettendosi per un istante #neiloropanni che potremo recuperare un po’ di umanità.

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