Il ministro Lorenzin –in realtà gli esperti che la circondano- ha scoperto l’acqua calda. In Italia non si fanno più figli. Con una media di 1,39 figli per donna il nostro Paese è al di sotto della soglia europea (per la cronaca lei alza la media con due gemelli in arrivo). Intanto la popolazione continua ad invecchiare e con questo ritmo -dicono dal ministero- nel 2050 la popolazione anziana sarà in misura pari all’84% di quella attiva con un effetto potenzialmente devastante per il welfare. Fin qui nessuna novità. E’ un ritornello che grazie ai dati Istat sentiamo da tempo.
Non è nemmeno una novità il fatto che molti giovani d’oggi –io tra loro, anche se a 32 anni mi piacerebbe non essere considerato un giovane inesperto ma una persona che nei prossimi 15 anni darà il massimo sul luogo di lavoro- non vedranno la pensione. O meglio, non riceveranno nemmeno lontanamente quanto versato (per la cronaca l’istituto di previdenza giornalistica INPGI oggi raccoglie 100 milioni all’anno e ne spende 130 in pensioni).
In che modo risolvere questo oggettivo problema di sostenibilità? Semplice, facendo più figli. Il ragionamento non fa una piega. Ecco allora il via libera a sgravi fiscali per famiglie numerose, il leggendario quoziente famigliare, l’agevolazione nell’accesso alla scuola paritaria che consentirebbe un risparmio allo Stato… Invece no. Troppo difficile occuparsi seriamente di politiche famigliari. Ecco allora che dal cilindro il ministero tira fuori la soluzione: variamo un piano nazionale per la fertilità e istituiamo dal 2016 il “Fertility Day”.
In Italia una coppia su cinque, ovvero il 20%, ha difficoltà a procreare. Le ragioni sono le più disparate e il ministero si è prefissato l’obbiettivo di fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità, promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell’apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale. Sgombriamo il campo dagli equivoci: in sé il progetto è cosa buona e lo Stato, cioè noi, fa bene ad affrontare il problema.
Aiutare chi non riesce ad avere figli è una cosa, risolvere il problema della natalità con un piano nazionale sulla procreazione un’altra. Ma ci siamo mai chiesti perché si fanno sempre meno figli? Certo, da un lato il “problema” è di natura biologica ma dall’altro –in misura molto più impattante- è dovuto alla totale assenza –nei casi peggiori direi disprezzo- di considerazione per chi decide di metter su famiglia.
La famiglia è mal sopportata, le donne in maternità un peso. C’è chi a Roma ha deciso di aumentare le tariffe degli asili nido… Di politiche che incentivino a fare più figli sembrano essercene molto poche… (la Lorenzin ha proposto almeno l’estensione del bonus bebè fino ai 5 anni, 80 euro al mese. Latte e pannolini, forse. Un’aspirinetta ad un moribondo). A dirlo non sono io ma i numeri: se si confronta la percentuale di Pil investito nelle politiche per la famiglia l’Italia presenta uno spread rispetto alla media europea pari a un punto percentuale. Il nostro Paese spende circa l’1,4% mentre l’Europa in media dedica tra il 2,3% e il 2,4%. Per essere in linea con lo standard europeo alle politiche in favore della famiglia mancano tra i 15 e i 17 miliardi di euro. Vogliamo realmente risolvere il “devastante problema welfare”? Investiamo nella famiglia perché è l’unica ancora certa di salvezza. Quella famiglia che si fa carico dei giovani senza lavoro e degli anziani con pensioni al limite del ridicolo. Già, quelle pensioni che i figli non vedranno mai. Aiutiamo sì gli italiani a fare più figli. Poi però sosteniamoli. Viva il Fertility Day, siempre.