Ricordo ancora quel giorno, era l’aprile del 2011. Io, giovanissimo e alle prime armi aspirante giornalista, vengo invitato a Parigi alla conferenza stampa organizzata da Bristol-Myer Squibb per l’annuncio dell’approvazione da parte dell’EMA del primo farmaco immunoterapico nella lotta al cancro. Confesso che nonostante gli studi in biologia la parola “immunoterapia” mi diceva ben poco. Sì, giusto un accenno ma non pensavo fosse già così avanti la ricerca. Da quel giorno è stato un susseguirsi di studi che hanno mostrato la bontà di questo approccio: scatenare le difese immunitarie per eliminare le cellule cancerose. Il melanoma ha fatto da apripista. Nei casi di metastasi avanzate la speranza di sopravvivenza era di 3 mesi. Oggi, in alcuni casi, i primi ad aver avuto accesso alla terapia sperimentale dieci anni fa sono ancora qui a raccontarlo. Al momento non c’è tumore che non veda sperimentazione con questo approccio. La testimonianza più diretta è il congresso ASCO di Chicago, il più importante evento mondiale dedicato all’oncologia clinica. La stragrande maggioranza dei lavori presentati riguarda proprio questa strada. Ora, proprio grazie all’immunoterapia, è da poco stato avviato uno studio per capire se l’approccio è valido anche nel gliobalstoma, un tumore cerebrale che spesso non lascia scampo. La speranza è di ripetere ciò che è accaduto per il melanoma. Magari, tra qualche anno, ci sarà nuovamente qualcuno a Parigi a raccontare dell’avvenuto successo. Per maggiori dettagli sulla sperimentazione leggi il mio approfondimento su fondazioneveronesi.it. Eccolo: Glioblastoma: una speranza chiamata immunoterapia