Curiosità: è questa la caratteristica principale che ogni giornalista dovrebbe avere. E’ per questa ragione che sabato pomeriggio mi sono messo in fila all’ingresso dell’Auditorium Testori di Regione Lombardia per assistere al convegno “Difendere la famiglia per difendere la comunità”. Nei giorni precedenti l’evento si è alzato un gran polverone sulla manifestazione. Diversi giornali l’hanno definito il convegno “Anti-gay”. Strana elaborazione giornalistica. La locandina dell’evento, graficamente ben poco accattivante, non riporta nulla che possa far pensare ad un dibattito sulle presunte cure da somministrare a tappeto per le persone omosessuali.
Grazie alla mia mania di partire sempre presto sono riuscito ad entrare con successo nella sala. Nessun canale preferenziale, nessun tesserino da giornalista –nonostante ne sia in possesso- per evitare la fila. Aspettando il mio turno per accedere nel palazzo non ho potuto non notare il dispiegamento di forze dell’ordine degno di un Roma-Lazio. Probabilmente, non fosse uscita sul giornale la notizia del convegno, nessuno si sarebbe interessato.
Una volta entrato mi sono seduto per terra ad ascoltare attentamente gli interventi di tutti i relatori. Si è parlato di fisco ingiusto per le famiglie numerose, di assegno di maternità per tutte le donne, di ovvie differenze tra uomo e donna, di utero in affitto, del fatto che uomini e donne non sono oggetti… Temi di interesse generale, condivisibili o meno, indipendentemente dall’appartenenza politica o religiosa: chi non vorrebbe pagare meno tasse avendo 5 figli? Quale donna rifiuterebbe l’assegno di maternità? Chi ritiene lecito che una donna venda il proprio corpo per tenere in grembo un figlio che mai vedrà? Perché mai un bambino –che dovrebbe a maggior ragione essere tutelato in quanto soggetto debole- non dovrebbe chiamare mamma la donna che lo ha portato in grembo?
Ascoltando i relatori non è possibile non porsi le seguente domande: ma questo non era un convegno anti-gay? Dove sono i sostenitori delle cure per gli omosessuali? La risposta è semplice: il convegno nulla aveva a che fare con questi deprecabili argomenti. Eppure, nonostante l’evidenza dei fatti, un certo modo di fare informazione ha continuato imperterrito a bollare il convegno come omofobo.
E’ vero, mi si potrà obbiettare. Un ragazzo (qualche giornalista l’ha definito gay), nonostante non fosse previsto un dibattito con domande dal pubblico, ha pensato di irrompere sul palco impossessandosi di microfono per affermare:
“Quanti di voi hanno figli? Il motivo per cui vi faccio questa domanda è perché nessuno di voi sa se vostro figlio è o non è eterosessuale”.
E aggiunge:
“In quale maniera voi pensate di attuare l’unico comandamento in cui io aspiro nella mia vita che è l’amore quando le terapie riparative sono state condannate e…”
Segue il suo allontanamento. Una manna per i giornalisti in sala. Il servizio è fatto. Contestatore pone una domanda che nulla ha a che fare con i temi trattati. Urla e fischi fanno il resto. Il servizio è perfetto per dimostrare la propria tesi preconfezionata. Un convegno di retrogradi, oscurantisti, teorizzatori e attuatori delle cure per gli omosessuali.
Non contenti, ciliegina sulla torta, lo scoop degli scoop con tanto di titolone: “Milano, la denuncia di Sel: Don Inzoli, prete accusato di pedofilia, al forum omofobo”. Su questo episodio credo che le parole di Adinolfi, uno dei relatori, siano chiarissime:
“Mi chiama Repubblica e mi chiede che ne penso del fatto che tra migliaia di persone che ieri a Milano hanno seguito il nostro convegno, molte non riuscendo a entrare e ancora mi scuso, ci fosse un prete che in passato aveva avuto accuse di pedofilia, che peraltro non gli provocano pendenze penali di alcun genere. Non ho nulla da dire (non conosco quel prete) se non che pedofilia e pedofili mi fanno schifo. Detto questo, chiederei un minimo di equanimità al prossimo convegno dei Radicali con Mambro e Fioravanti o al prossimo incontro pubblico de sinistra con Adriano Sofri. Tranquilli, nel loro caso non dovete fare neanche la fatica di fare lo screening di ogni singola faccia del pubblico. Loro parlano dal palco.”
Posto il fatto che qualche amico del prete -se veramente amico- avrebbe dovuto consigliargli per il suo bene di stare a casa, ciò che si evince da tutta questa vicenda è che la corretta informazione è morta da tempo. Sarebbe bastato seguire il convegno spogliandosi dell’abito della cieca ideologia, quella che ti fa vedere solo il mondo che c’è nella tua testa. E’ questo il modo di fare informazione? Il convegno, diciamolo apertamente, ha detto cose ovvie e scontate. Forse però aveva ragione Chesterton:
“Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate… .”