Un uomo viene spinto sui binari della metropolitana, non riesce a risalire sulla banchina e muore travolto dal convoglio. In tanti si sono scandalizzati perché alcune persone, al posto di aiutarlo, si sono messe a scattare foto. Potremmo stare a discutere per ore su cosa si sarebbe dovuto e potuto fare. Esistono eroi pronti a gettarsi per salvare il malcapitato ed esiste gente normale che, per paura di morire, decide di non muovere un dito. Ma il punto non è questo. Sulla banchina c’erano alcuni fotografi del quotidiano “New York Post” che hanno immortalato istante per istante il consumarsi della tragedia. Il loro intento, secondo quanto hanno dichiarato, era quello di attirare l’attenzione del conducente con ripetuti flash. Una strategia curiosa e potenzialmente valida che anche in questo caso non è il nocciolo della questione. Il punto fondamentale della vicenda si chiama “limite”. Può un giornale, visionate le foto, decidere di pubblicarle trattando la tragica morte di un uomo come la cronaca di una partita di football? Fino a dove ci si deve spingere? A questa domanda non so rispondere… Da tempo abbiamo superato ogni limite. La spettacolarizzazione ha assunto più valore della vita stessa. Ai colleghi chiedo: ci interessa un giornalismo fatto in questa maniera?
Non sono un giornalista, ma ti rispondo come tu hai già risposto. E’ stato superato ogni limite.