Sabato si è celebrata l’annuale ricorrenza della giornata mondiale contro l’AIDS. Le novità non sono poi molte… Vaccini all’orizzonte non ce ne sono ancora e la terapia farmacologica resta l’unica reale cura. Di passi da gigante però ne sono stati fatti moltissimi: agli inizi degli anni ’90 la diagnosi equivaleva ad una condanna a morte. Oggi, grazie alla ricerca, è possibile cronicizzare la malattia e l’aspettativa di vita media è paragonabile quasi a quella delle persone sane. Non solo, se prima le terapie prevedevano l’assunzione di svariate pastiglie durante l’arco della giornata, oggi con meno effetti collaterali è possibile assumerne un numero decisamente inferiore. Quello che invece deve spaventare e il progressivo abbassamento della guardia che potrebbe vanificare quanto di buono fatto sino ad ora: in Italia si calcola che il 20-25% delle persone sieropositive non sa di esserlo. Cambia anche l’identikit del malato medio: a differenza del passato, dove era il “tossico” il malato tipo, ora è l’uomo di mezza età. Ma forse, la notizia che merita di essere segnalata maggiormente in quanto pericolosa “curiosità”, riguarda il rapporto tra mezzi di comunicazione e diffusione dell’HIV. Dall’India giunge voce che il telefono cellulare sarebbe in grado di propagare l’infezione. Una bufala, un pesce di aprile? Nulla di tutto ciò. Oggi in Italia, ricchi e poveri, tutti possediamo un telefonino. In India, paese che ha fatto tantissimo per porre freno all’epidemia, tutto si potrebbe vanificare per colpa dei cellulari. Uno studio l’ha dimostrato. Il motivo? Le prostitute che esercitano nei bordelli (dove uno standard minimo di controllo esiste) ora che il cellulare è alla portata di chiunque possono organizzare gli appuntamenti in maniera del tutto autonoma. Minor controllo, maggior propagazione del virus.