Andare in profondità, ma senza rischi

Un mio articolo pubblicato da Corriere della Sera.it

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MILANO – Barriera corallina, animali acquatici coloratissimi e relitti di antiche navi. Chi di noi non desidererebbe inforcare pinne, maschera e bombole per vedere tutte queste meraviglie? Con l’arrivo dell’estate le occasioni per effettuare escursioni subacquee sono davvero molte. Ma sono realmente sicure? Uno studio coordinato da Remo Bedini, dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, ha da poco dimostrato che anche nel fegato, così come nei polmoni, possono formarsi le temute bolle gassose in grado di scatenare l’embolia durante l’attività subacquea.

LO STUDIO – La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista American Journal of Physiology, ha analizzato più di trenta animali da laboratorio posti in condizioni simili a quelle che si trovano in ambiente subacqueo. «Con l’ecografia abbiamo individuato nel fegato danni dovuti all’embolia simili a quelli che si riscontrano nei polmoni» spiegano i ricercatori italiani. I responsabili sono i gas intestinali che subiscono forti variazioni di pressione dando origine a micro bolle in grado di causare la morte delle cellule epatiche. Attualmente sono in corso studi per accertare se il danno sia comune anche nell’uomo, in particolare tra le persone che praticano abitualmente questa attività sportiva per tempi lunghi e a profondità pari o superiori a 30 metri. Il campionamento dei dati si è da poco concluso e i ricercatori sono ora al lavoro per decifrare le informazioni ottenute.

RISCHI PER LA SALUTE – Nei luoghi di vacanza si moltiplicano i centri che offrono la possibilità di escursioni sottomarine, anche per principianti, mentre in città sono sempre più numerose le piscine dove è possibile frequentare corsi per ottenere il brevetto. Il rischio maggiore che si corre quando si effettuano immersioni subacquee è rappresentato appunto dal fenomeno dell’embolia gassosa. «Si tratta di un’improvvisa ostruzione delle arterie, causata dalla presenza di bolle gassose di azoto, che si forma durante una risalita in superficie troppo veloce. Questo non consente all’organismo un adattamento adeguato ai cambiamenti di pressione esterna – spiega Marco Brauzzi, responsabile del Centro di medicina iperbarica dell’ospedale Misericordia di Grosseto -. Un problema spesso sottovalutato ma che ogni anno, solo nel nostro centro, ci vede costretti a trattare dalle 15 alle 20 persone con terapia in camera iperbarica. Numeri che aumentano se si considerano anche i casi meno gravi». L’utilizzo della camera serve a riprodurre pressioni atmosferiche simili a quelle subacquee in modo da agevolare il corretto processo di decompressione.

CONSIGLI PER STARE SICURI – In materia di immersioni non esiste una vera e propria regolamentazione. Molto spesso infatti, quando ci si reca in villaggi turistici e si decide di ottenere il brevetto subacqueo, non viene eseguita nessuna accurata visita medica di idoneità. «Il primo consiglio che diamo – spiega Brauzzi – è quello di effettuare una visita specialistica per verificare il proprio stato fisico e ottenere così un certificato di buona salute o idoneità agonistica». Una volta ottenuto il brevetto è necessario ricordarsi di averlo. Utilizzarlo una volta ogni tanto è come non possederlo. Per questo motivo è consigliato anche mantenersi sempre in buona salute per preservare il sistema cardiocircolatorio. «È di fondamentale importanza non recarsi ad altitudini superiori ai 300-400 metri né prendere aerei nelle 12 ore successive all’immersione per evitare ulteriori sbalzi pressori. Questa è una situazione comune soprattutto in quei villaggi dove si effettuano spostamenti tra un’isola e l’altra tramite velivoli da turismo privi di sistemi di pressurizzazione». Per concludere è bene sottolineare di controllare sempre in maniera scrupolosa la propria attrezzatura e di mantenerla efficiente. «Come spesso capita, soprattutto ai principianti, il necessario viene noleggiato e quindi è ancora più importante prendere confidenza con i mezzi prima di immergersi».

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